La storia dei figli pubblicata sui social media: tra desiderio di raccontare e bisogno di riservatezza


Non pubblico foto dei miei figli sui Social Network perché nella rete sfuggono dal mio controllo”; “perché potrebbero essere rubate ed usate in contesti per me non consoni”; “perché non credo nella sicurezza delle impostazioni di Privacy dei Social”; “perché priverei i miei figli della libertà di crearsi e gestire la loro immagine on line”; “perché rispetto i miei figli e voglio trasmettere loro questo valore”; “perché non tutti in famiglia siamo d’accordo nel pubblicarle”.

Pubblico foto dei miei figli sui Social Network perché ho parenti e amici lontani che, vedendole, partecipano alla nostra vita”; “perché sono orgogliosa di loro e mostrarli per me è una forma di amore”; “perché non voglio farmi condizionare dalla paura che una foto venga rubata o usata da un pedofilo”; “perché prendo continuamente decisioni per i miei figli e se scoprirò che vorranno essere più riservati smetterò”; “perché la mia passione è la fotografia e i miei figli sono i miei modelli preferiti”; “perché penso che se un giorno i miei figli vedranno quello che ho pubblicato avranno dei bei ricordi e vi troveranno tutto l’amore che ho per loro e l’impegno che ho messo nel renderli felici”.

Rifletto spesso su quanto sia divenuto normale condividere virtualmente immagini e notizie dei nostri figli.

Come se ci portassimo dietro ogni giorno un album pieno di loro foto e lo mostrassimo a tutti … ma proprio tutti …

Penso però anche che l’affetto profondo e l’orgoglio che spingono a questa scelta di divulgazione debbano essere accompagnati dalla consapevolezza dei rischi e delle conseguenze.

Prenderci cura del futuro dei nostri figli oggi include anche il rispetto delle loro scelte riguardo alla riservatezza. Scelte che un giorno compiranno. Ma se quel giorno in rete si saprà già tutto di loro, sarà troppo tardi ed il biasimo dei nostri figli verso di noi sarà legittimo.

Ho imparato che i bambini già dall’età di quattro anni sviluppano il senso di sé: perché allora non chiedere direttamente a loro se e a chi vogliono che una foto venga fatta vedere? Perché non fermarci un secondo prima di pubblicare, domandandoci se la condivisione che desideriamo è ragionata oppure spinta dall’esibizionismo?

Quanto ai rischi, la dottoressa Valentina Sellaroli, Pubblico Ministero Presso il Tribunale per i Minorenni di Torino, nei sui recenti studi e contributi, anche on line, sostiene che la pubblicazione delle foto sia pericolosa e sconsigliabile.

http://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2015/04/07/news/non_pubblicate_su_facebook_le_foto_dei_vostri_figli_un_pubblico_ministero_svela_i_rischi-111387070/

La banale ma fondamentale constatazione di base è la grande diffusività del mezzo di comunicazione, che espone al rischio che le fotografie vengano manipolate e/o usate per scopi non del tutto leciti (in particolare fotomontaggio e circolazione di materiale pedopornografico); o, peggio, che persone con secondi fini possano avvicinarsi ai nostri figli dopo averli visti in foto on line o avendone conquistato la fiducia proprio attraverso la conoscenza delle abitudini resa possibile dalla condivisione (il cd. “grooming”).

Non sono nemmeno da sottovalutare il pericolo di furto di identità e quello, ancor più grave, di violazione della incolumità personale nelle ipotesi di bambini affidati perché allontanati da famiglie pericolose, maltrattanti o abusanti, che hanno un canale in più per ritrovare i figli.

Né sono sufficienti le impostazioni di Privacy delle quali si dotano i Social Network, che possono essere fallaci e che comunque non garantiscono che i destinatari da noi stessi selezionati a loro volta non condividano il materiale ricevuto o non lo custodiscano in modo sicuro.

Quanto alla violazione della privacy dei minori, devo ammettere di aver letto con curiosità le ultime sentenze in merito: i titoli dei media hanno attirato l’attenzione sul rischio che i genitori che pubblicano foto dei figli vengano sanzionati con multe salate o che vi debba essere un necessario consenso di entrambi i genitori alla condivisione.

Le affermazioni, però, vanno lette nel loro contesto.

Quanto alla temuta multa, in realtà la sanzione può essere comminata se una condotta antigiuridica costituisce un reato, mentre nelle poche recenti occasioni nelle quali i giudici si sono pronunciati la controversia era di natura civilistica e il contesto familiare di riferimento non era certo ordinario.

Non si tratta, cioè, né di Pubblici Ministeri che sostengono un’accusa penale contro i genitori, né tanto meno di figli che, in un contesto familiare ordinario, chiedono ai genitori di essere risarciti per un danno alla loro immagine causato dalle eccessive condivisioni da parte dei genitori.

Si tratta invece di complesse vicende giudiziarie che vedono coinvolti i genitori in un momento delicatissimo della loro vita, il conflitto relativo alla separazione e la difficoltà di ritrovare un equilibrio nel nuovo menage familiare.

E’ in questo contesto che emerge un ulteriore rischio della condivisione: se i genitori perdono di vista il loro ruolo educativo le bacheche Social possono diventare vetrine per sostenere argomenti processuali e ricercarne le prove, lottare sull’affidamento dei figli, condividendo vicende che dovrebbero restare privatissime.

E’ quello che è successo, ad esempio, nella vicenda giudicata dal Tribunale di Roma (Sezione I, sentenza 23.12.2017), all’esito della quale la madre – che era solita divulgare notizie imbarazzanti al riguardo del figlio sedicenne, pregiudicando gravemente la sua reputazione fra i coetanei tanto da spingerlo a voler proseguire gli studi all’estero per sfuggire alla gogna mediatica creata dalla genitrice – è stata condannata non solo a rimuovere le notizie già divulgate, ma anche a cessare il suo comportamento pregiudizievole, pena l’applicazione di una cd. “astreinte”, una sorta di sanzione privata valida per il futuro che consiste nel fissare un importo di denaro che la parte onerata dovrà versare in caso di inadempimento o tardato adempimento di un obbligo imposto dal Giudice (art. 614 bis c.p.c.).

Quanto al necessario consenso di entrambi i genitori per la pubblicazione, in effetti sancito da alcune recentissime pronunce (Tribunale Mantova 19.09.2017), anche queste vicende si contestualizzano in separazioni giudiziali in corso e lotte per l’affidamento dei figli, nelle quali la condivisione compulsiva (“il cd. sharenting”), diventa un argomento processuale utilizzato da un genitore per negare le capacità educative dell’altro.

Quello che è certo però – al di là delle estreme vicende altrui – è che per recuperare il nostro ruolo educativo di genitori e tutelare l’immagine e la privacy dei nostri figli possiamo e dobbiamo noi per primi assumerci il compito di educare noi stessi alla riservatezza e al rispetto.

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Elisa Rolfi

Sono avvocato penalista e civilista dal 2008 e mediatore civile dal 2010. Coltivo una formazione continua e multidisciplinare, con la passione per l’apprendimento di tecniche di gestione dei conflitti differenti da quelle avversariali giudiziarie. Sono una professionista formata all’utilizzo della Pratica Collaborativa, una tecnica di negoziazione assistita multidisciplinare pensata appositamente per le controversie familiari, che mette al centro le persone e i loro interessi, consentendo di individuare soluzioni durature, soprattutto nel superiore interesse al benessere dei bambini. (www.praticacollaborativa.it)