Ogni mattina mi sveglio e mi alzo con il pensiero che ci saranno mille cose da fare e non riuscirò a portarle a termine tutte come vorrei; apro gli occhi con la consapevolezza che in qualche modo un senso di inadeguatezza come mamma, come donna, come professionista mi accompagnerà durante la giornata.
Mi lavo, mi vesto preparo la colazione; nel frattempo i bimbi chiamano: “Mamma, mi sono svegliato!”…bene si inizia a correre! E neanche sono contenta di pensare così… come vorrei poterli alzare con calma dal letto, leggere loro una fiaba, coccolarli un po’! E invece parte la corsa contro il tempo: “Filippo hai controllato lo zaino? Ti sei lavato? Mettiti le scarpe, è ora di andare!” “Jacopo… dai mangia i biscotti, su che poi la scuola chiude…”. So che non dovrei urlare, l’ho studiato sui libri all’università, lo ripeto ai genitori che incontro, agli insegnanti durante i percorsi formativi, non bisogna urlare, la voce va utilizzata bene, dosata nel modo giusto, un tono basso ed accogliente contiene e rassicura. Eppure anche io grido e a volte uso pure il ricatto: “Se non finisci di mangiare in due minuti non possiamo comprare le figurine”;che vergogna! In me si fa strada il conflitto tra professionista e mamma, tra colei che dice e colei che vive, in certi momenti “possedere competenze utili in ambito educativo” non aiuta affatto anzi, aumenta il senso di frustrazione e di insoddisfazione.
In qualche modo riusciamo ad uscire di casa; Filippo raggiunge la scuola con il pedibus mentre io accompagno Jacopo alla scuola dell’infanzia. Nel frattempo mio marito, anche lui partito con la quinta, si reca al lavoro vicino a casa. All’entrata della scuola incontro altre mamme che mi sembrano più sorridenti e rilassate di me, chiacchiero un attimo con loro mentre invito Jacopo ad abbottonarsi il grembiulino e ad infilarsi le pantofole. Il tempo scorre e l’ufficio aspetta; anche lo sviluppo dell’autonomia di mio figlio è importante!
Imparare piccole abilità come infilare un bottone in un’asola o togliersi da solo la giacca sono piccoli pezzi dell’uomo che sarà domani; non posso togliergli il diritto di crescere. Eppure l’ufficio aspetta e il tempo passa; la tentazione di fare al posto suo è forte, mi permetterebbe di accumulare meno ansia e di viaggiare adagio in auto. Il rispetto dei tempi del bambino: ecco, è tutto qui. Il rispetto dei tempi del bambino, che sono diversi dai nostri e da quelli della realtà sociale che ci circonda. I bambini raramente hanno fretta, ti guardano negli occhi, ti chiedono pazienza; vogliono assaporare l’istante. Come conciliare la mia necessità di arrivare al lavoro in tempo e il suo desiderio di autonomia? Un po’ e un po’: a giorni alterni ci abbottoniamo e vestiamo da soli mentre i minuti scorrono e il corpo scalpita, nei restanti mamma aiuta e viaggia con tranquillità in auto. Forse così preserviamo i bisogni e i desideri di entrambi, o almeno ci proviamo. Un bacio, lettura del menu e via. Mezz’ora di auto e mi ritrovo con bambini in classe, in ufficio con i colleghi, in mezzo a riunioni complesse e difficili da coordinare. “Meno male che oggi anche Filippo è in mensa così non devo correre a casa!” Un caffè veloce mi sembra il paradiso! Eppure sono una mamma e amo i miei figli… E la donna che è in me, dov’è finita? C’è ancora? E le amiche? Lo shopping? La cena in pizzeria? Meno male che il caffè dura poco!
Colloquio con una famiglia preoccupata per il figlio con disturbo di apprendimento: “come ci dobbiamo comportare? Ci può dare un consiglio su come fare con lui? E’ una professionista, saprà certo cosa consigliarci.” No, non lo so. Inizio ad elencare le possibilità di intervento e le strategie che potrebbero essere utili per aiutarlo nel percorso scolastico e di integrazione sociale; i genitori mi osservano con gli occhi spalancati e cercano di giustificare quelli che loro chiamano “errori”. Hanno paura di non essere all’altezza. E chi non ne avrebbe? Li ascolto, di più non si può fare. Vanno a casa contenti. Anche io sono contenta di aver portato loro un po’ di conforto…. Ma i bambini? Come staranno? Devo ricordarmi di passare a comprare la pasta della pizza ed andare al supermercato per i festoni della festa di Filippo.
Ora devo concludere la rimodulazione del progetto “LA GRANDEZZA DEI PICCOLI” al pc, mangiando un toast al volo, poi mi restano due scuole in cui andare ed un intervento domiciliare. In classe, mentre i ragazzi chiacchierano e sono distratti, cerco di attirare l’attenzione muovendomi per l’ aula e tenendo un tono di voce basso. Mi balza in mente come al mattino, invece, spesso alzo la voce e non ho voglia di ripetere due volte una consegna mentre con i bambini a scuola mi fermo più volte per assicurarmi che abbiano capito.
Finalmente è ora di andare a casa; una volta arrivata controllo i compiti svolti da Filippo, se ci sono degli errori li correggiamo, prepariamo insieme lo zaino per il giorno dopo. Ma…non è abbastanza grande da potersi leggere l’orario scolastico settimanale appeso sul frigo e riordinare la cartella in autonomia?
Jacopo nel frattempo corre in cucina e, saltandomi in braccio, mi dice “ti voglio bene”!. Questo atteggiamento mi fa ben sperare: chissà che a cena non mangi ciò che ho cucinato senza fare storie! Il menu prevede: pastasciutta al pomodoro, broccoli e frutta. Il pasto si rivela un momento caotico, i bimbi si alzano continuamente da tavola, si stuzzicano ma nel contempo ridono e si divertono. Prendo un libro e comincio a leggere; Jacopo si avvicina e, concentrato ad ascoltare il contenuto del testo, a grandi bocconi svuota il piatto. Anche Filippo, perso nell’ambientazione della storia, finisce il primo e il secondo senza fatica. La frutta però proprio non la vogliono, neanche un mandarino. La giornata per loro sta volgendo al termine; li aiuto a lavarsi e a mettersi il pigiama, alle 20.30 accendiamo la tv per la mezz’ora serale di cartoni animati. Il tavolo è ancora da sparecchiare, la cucina da riassettare e la lavatrice da svuotare; sono stanca. Controllo la camera dei bimbi, preparo i letti ed, ebbene sì, ritiro i giochi sparsi sul pavimento. Domani sera (forse) lo faranno loro. Scoccano le 21 e ci infiliamo nel letto, un bacio ad entrambi, un bicchiere d’acqua e gli occhi si chiudono. Io torno in cucina e finisco di pulire; poi accendo il pc per concludere il lavoro non terminato in ufficio.
Un altro giorno si è concluso, non è andato poi così male. Ho fatto come ho potuto ed è quello che conta. Domani ci riproverò. Buona notte.
Sara Castello
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