I cambiamenti nella vita di ogni essere umano devono avvenire gradualmente per essere accettati, purtroppo quando arriva una diagnosi di una qualsiasi disabilità, e nel mio caso specifico una diagnosi dello spettro autistico, il cambiamento è inevitabilmente improvviso.
Non c’è il tempo necessario per elaborare quello che ti sta accadendo intorno e questo porta inevitabilmente ad un profondo momento di crisi interiore e di sconforto.
In quei momenti pensi che il mondo ti stia crollando addosso, non riesci a vedere una via di uscita ma soprattutto ti senti malinconicamente solo.
È così, la solitudine, credo, anzi ne sono sicuro, è il sentimento che maggiormente si prova, questa triste sensazione di essere da soli ad affrontare questa nuova esperienza.
Già nuova, perché tutto ciò che per noi è novità ci spaventa, non riusciamo ad affrontarlo, a gestirlo ed inevitabilmente a capirlo.
L’unica cosa che ti sembra chiara ed inequivocabile è che hai fallito nel ruolo di colui che doveva contribuire a mettere al mondo un bambino “normale” e che invece sarà per tutta la sua vita un bambino “speciale”.
Un fallimento ancora maggiore per la mamma, colei che per nove mesi lo ha tenuto in grembo e che ha per natura come donna e come madre prova il maggiore scoramento.
Il periodo successivo alla diagnosi, che non è assolutamente quantificabile, mette a dura prova nella maggior parte dei casi anche la coppia, che finisce per essere travolta da questo fiume in piena di emozioni forti ed ingestibili.
Ricordo che mi chiedevo spesso dove fosse la via di uscita, l’ho sempre cercata, ma non è facile trovarla e la cosa più triste che non puoi parlarne quasi con nessuno perché o ti si rivolgono a te con parole di compassione o di gratuita indifferenza.
E allora che fare… ricordo che un pomeriggio sono andato a prendere il mio bimbo a scuola materna e quando sono entrato nel salone dove tutti i suoi compagni giocavano in attesa che i propri genitori arrivassero a prenderli, l’ho visto da solo in un angolo seduto per terra con lo sguardo nel vuoto, sono rimasto folgorato e ferito da quella immagine a tal punto che dentro di me è scattato qualcosa, in quella frazione di secondi che sono stato immobile ad osservarlo ho capito che se non avessi reagito e non avessi iniziato a fare io qualcosa per lui probabilmente non lo avrebbe fatto nessuno e quel bambino per tutta la sua vita sarebbe rimasto da solo seduto in un angolo impaurito.
Non è scontato che l’elaborazione e l’accettazione della diagnosi avvengano in tutti i genitori a volte possono anche non arrivare mai.
Quello che ho capito in tutti questi anni ormai tredici dalla diagnosi è che bisogna reagire, non bisogna sentirsi soli, che tantissime altre famiglie vivono come noi con la stessa angoscia la stessa ansia gli stessi sentimenti.
Abbiamo dietro una lunga fila di persone “simili”, dobbiamo cercarle per condividere con loro il peso quotidiano che ognuno di noi si porta, solo così si potrà raggiungere la leggerezza, la felicità e la piena realizzazione di se stessi.
Prima vi ho parlato di normalità, per me non esiste, siamo tutti uguali ma tutti diversi ognuno “speciale” a proprio modo.
E sapete quale è il segreto per arrivare, dove ringraziando Dio sono arrivato io, cominciare da subito a pensare a quello che si può fare con il nostro bambino e non a quello che non si può più fare con lui.
Non mi ritengo un super papà, sono semplicemente un papà che ha capito ad un certo punto della sua vita che quel bambino era un dono prezioso che andava protetto, rispettato e amato.
Tanti anni fa, prima di diventare papà, pensavo spesso al futuro e a quello che mi sarebbe accaduto, alle scelte giuste o sbagliate che avrei fatto, talmente tanto da logorarmi.
Oggi non pensò più spesso al futuro, ho apprezzato di più il vivere giorno per giorno, tutte le sere prima di addormentarmi ringrazio sempre per la giornata che ho trascorso anche se le cose non sono andate come dovevano andare perché un giorno in più vuol dire avere un’altra possibilità per fare meglio ma soprattutto per vivere accanto al mio bambino “speciale”.
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